dott. Matteo Palmisani

Fratture vertebrali cervicali, toraciche e lombari.

La scelta del trattamento delle fratture e lussazioni del rachide è legata a numerosi fattori: il tipo di frattura e quindi la sua stabilità, la presenza di un danno neurologico, la gravità delle lesioni viscerali associate, l’età del paziente.

Le fratture vertebrali hanno una incidenza di circa 64 casi per 100 mila abitanti per anno e circa 4 casi su 100 mila presentano un danno alla motilità degli arti inferiori.

Il primo Tipo A con fratture con meccanismo patogenetico principalmente in compressione o schiacciamento, un secondo tipo B in cui il meccanismo patogenetico è principalmente quello in fessione o distrazione e un terzo tipo C, più grave, nel quale il meccanismo di torsione è quello più rappresentato. L’entità del danno è crescente dal primo al terzo con con maggiori possibilità di un danno neurologico (paralisi degli arti superiori e/o inferiori) associato.

Fratture mieliche o amileiche

Le fratture vertebrali posso essere divise in due grandi gruppi, mieliche o amieliche in base alla presenza o meno di un danno delle strutture nervose. Le fratture mieliche sono quelle in cui è presente una lesione neurologica (paralisi) che può essere completa o incompleta. Una lesione completa è caratterizzata dalla assenza di qualsiasi movimento o sensibilità al disotto del livello di frattura, tale lesione nella maggior parte dei casi è irreversibile. Una frattura con danno neurologico incompleto è caratterizzata dalla presenza di alcuni movimenti o aree di sensibilità conservati. In questo caso la lesione appare a prognosi molto favorevole per quanto riguarda un possibile recupero del movimento. Le fratture amieliche sono caratterizzate dalla presenza della sola lesione vertebrale senza interessamento delle strutture nervose con integrità dei movimenti e della sensibilità.

INDICAZIONI AL TRATTAMENTO

Il tipo di trattamento da intraprendere di fronte ad una frattura vertebrale dipende da numerosi fattori: il tipo di frattura, la presenza di instabilità, la presenza di un danno alle strutture nervose.

La maggior parte delle fratture vertebrali possono essere trattate con un trattamento conservativo.

Nelle fratture cervicali semplici senza danno neurologico un collare

frattura cervicale (C6) trattata con collare Philadelphia



sei mesi dopo

o un sistema Halo-Vest

possono garantire una buona guarigione. Il paziente viene rapidamente mobilizzato dal letto con il collare ed in genere in circa 2-3 mesi la frattura consolida.

Nelle fratture del tratto toraco-lombare del rachide si osserva riposo a letto per circa un mese e successivamente il carico viene consentito con un busto ortopedico

che verrà indossato fino a consolidazione della frattura, circa 3-4 mesi. Un trattamento in busto gessato, decisamente più efficace, attualmente non viene più accettato dalla maggior parte dei pazienti. 

Nei giovani il trattamento conservativo ottiene dei buoni risultati nella maggior parte dei casi. Ma nei pazienti giovani che rifiutano il trattamento conservativo per maggiori le richieste di un più rapido reinserimento nella vita sociale evitando l’allettamento e la immobilizzazione con busti si può intraprendere un trattamento chirurgico con tecnica mininvasiva

che consente un recupero più rapido ed una volta rimosso lo strumentario, a consolidazione avvenuta della frattura, di conservare la motilità vertebrale. Nelle fratture da osteoporosi, in età avanzata adottiamo il seguente protocollo: riposo a letto per 2 settimane, carico con busto ortopedico per 2-3 mesi. Se la frattura presenta segni di consolidazione, come nella maggior parte dei casi, la paziente prosegue con il trattamento fisioterapico, in caso di impossibilità a mentenere il busto o alla mancata consolidazione della frattura si esegue una vertebroplastica, iniezione di cemento nelle vertebre che consente un più rapido recupero con un rischio accettabile.

foto 5

In presenza di fratture instabili, irriducibili, con la presenza di un frammento osseo che invade il canale vertebrale e schiaccia le strutture nervose, in presenza di deformità della colonna (cifosi) e soprattutto in presenza di un danno neurologico (paralisi e insensibilità) è indicato un intervento chirurgico.

Nelle fratture del tratto cervicale del rachide un trattamento chirurgico nella maggior parte dei casi avviene con un approccio anteriore che consente una buona riduzione delle fratture una adeguata decompressione delle strutture nervose e permette di ricostruire la colonna anteriore con l’impiego di innesti ossei, di gabbie in titanio e con placche metalliche in titanio eseguendo una artrodesi vertebrale (blocco del movimento fra due o più vertebre). Nel caso in cui il solo accesso anteriore non basta si può eseguire un tempo posteriore prima o dopo il tempo anteriore eseguendo una artrodesi posteriore con viti e placche.

Nel trattamento chirurgico delle fratture vertebrali toraciche e lombari la chirurgia per via posteriore consente di ottenere una soddisfacente riduzione della frattura, una adeguata liberazione delle strutture nervose, il ripristino del corretto profilo sagittale del rachide, una stabilizzazione valida dal punto di vista biomeccanico presupposto indispensabile per una ristrutturazione biologica della frattura spontanea o attraverso una artrodesi intersomatica. Un trattamento precoce può facilitare la ripresa ed evitandone il peggioramento, consente un adeguato controllo del dolore ed una più rapida mobilizzazione del paziente con un migliore recupero funzionale. Pur tuttavia un intervento nelle primissime ore dopo il trauma espone ad un maggiore sanguinamento con formazione di un ematoma con comparsa o aggravamento del danno neurologico come si è verificato in un caso (0,2%). Il monitoraggio clinico neurologico dei pazienti operati è indispensabile, nelle prime ore dopo l’intervento, per poter intervenire tempestivamente. L’impiego di viti peduncolari, consentendo un ancoraggio meccanicamente valido e consente di ottenere una migliore correzione, la stabilizzazione sicura della frattura riducendo al minimo i livelli da strumentare, una mobilizzazione precoce del paziente, riducendo l’incidenza delle complicazioni generali e dei cedimenti meccanici.

Qualora si evidenzi una mancato ripristino della stabilità attraverso la ricostruzione della colonna anteriore con persistenza di dolore, è possibile eseguire una artrodesi anteriore a distanza 6-8 settimane dopo un attento studio clinico e radiografico (rx, tac, RMN).